La cucina casereccia è possibile trovarla in trattoria?

carciofi alla romanaCucina casereccia è sinonimo di semplicità e genuinità.

È sicuramente difficile ma non impossibile, trovare ancora quelle trattorie dove si possono assaporare gusti di una volta.

Certamente bisogna diffidare di chi si improvvisa specializzato in cucina casereccia.

Non si può pretendere per esempio, di trovare in un ristorante quei profumi e quei sapori di antica memoria che si trovavano nelle cucine delle nonne.

La cucina casereccia è fatta di semplicità, di piatti abbondanti e molte volte troppo conditi mentre la maggior parte de i ristoranti propone raffinatezze, quei piatti dall’estetica speciale che sembrano pronti più per una mostra di bellezza che per una bella mangiata tra amici.

Sono sicuramente piatti buoni oltre che belli ma non rispecchiano affatto quelle che sono le portate che realizzano le massaie italiane amanti della stagionalità degli ingredienti e della genuinità.

Eppure le piccole osterie, quelle situate a volte nelle contrade rupestri, dove ancora si possono notare uomini a cavallo di asini e donne con le sporte sul capo, dove l’acciottolato è lucido per il troppo calpestio dei contadini, offrono pietanze che assomigliano moltissimo a quella che è stata una volta la vera cucina casereccia.

Oggi si è troppo abituati a mangiare intrugli di vario tipo provenienti da fast food o da questi esercizi gastronomici tipo mordi e fuggi e una trattoria campagnola ricca di profumi e sapori genuini è come un’oasi nel deserto.

Innanzitutto la vera cucina casereccia comprende tutti quegli elementi fatti tipicamente dalle donne come si usava tanto tempo fa come le conserve, le salse fatte in casa, gli ortaggi sott’olio e la frutta sciroppata.

Oggi raramente le trattorie ed i ristorantini che si definiscono erroneamente caserecci, utilizzano ancora questo vecchio metodo di preparazione.

Attualmente va di moda il congelato, gli alimenti da friggere frettolosamente per chi vuole fare un pasto veloce prima di tornare al lavoro ma la vera cucina casereccia non è affatto questa anzi, cura più la sostanza che la forma.

La cucina italiana è giustamente molto apprezzata in tutto il mondo specialmente dai turisti abituati ad alimentarsi in maniera frettolosa ma prima di parlare di cucina casereccia bisogna rigorosamente informarsi perchè se la cucina mediterranea vuole essere paragonata a quelle specialità realizzate con elementi poveri ed umili di una volta è decisamente uno sbaglio.

La cucina mediterranea è unica nel suo genere, ricca di sapori inconfondibili ma negli anni pur essendo nettamente migliorata, si è un poco discostata da quelle che sono le norme per poterla definire anche casereccia.

Ogni zona della nostra penisola ha specialità culinarie ineccepibili e di bontà straordinaria.

Qualsiasi regione della nostra bell’Italia possiede ristoranti e trattorie tipiche dove si realizzano i piatti tradizionali ma alcune volte può capitare che il termine casereccio, venga confuso definendo così alcuni piatti intriganti e speciali ma che nulla hanno a che vedere con la tradizione.

Casereccio è sinonomo di assenza di spreco, di utilizzo di scarti che cucinati in un certo modo, diventano una pietanza squisita e nutriente. In poche parole, non si butta via niente come facevano gli antichi romani.

Si tratta di una cucina tradizionale, composta di ricette sapientemente tramandate di generazione in generazione e non è certamente una cucina improvvisata o con ricette che negli anni sono cambiate per una serie di varianti apportate dai vari cultori della gastronomia locale.

In Piemonte per esempio, troviamo la tipica polenta dolce (la dousa) fatta ancora oggi come nel passato, con grano saraceno perchè secondo un’antica tradizione, i valdesi non potevano commerciare con i cattolici e quindi la farina di grano duro o tenero era letteralmente vietata.

Questo particolare fa comprendere cosa significhi realmente il termine casereccio ossia una pietanza che viene realizzata ai nostri giorni come alcuni secoli addietro.

Un’altro esempio molto evidente è il cappon magro piatto tradizionale ligure che veniva preparato con gli avanzi di pesce e poi condito con salsette varie preparate con prezzemolo.

Ebbene, ancora oggi questo piatto viene realizzato nella stessa maniera anche se non c’è più la miseria di una volta e non è perciò necessario utilizzare gli avanzi ma in linea di massima, non è cambiato nulla.

Praticamente la ricetta è identica a quella di centinaia di anni fa.

Un altro esempio lampante sono dei piccoli gnocchetti realizzati con del pane raffermo e poi fritti che si preparano nel piacentino.

Sono ottimi ed erano realizzati utilizzando gli avanzi di pane per non gettarlo perchè la fame di allora era davvero tanta.

Questo è un esempio di cucina casereccia tant’è vero che se si vogliono acquistare questi favolosi gnocchetti nei supermercati è praticamente impossibile ma bisogna solo recarsi in qualche trattoria dei paesini circostanti a Piacenza per poter godere di questo gustoso stuzzichino realizzato dalle mani esperte di qualche donna di paese.

Ma la città Eterna, la nostra capitale è l’esempio pratico e costante di una cucina che si è fermata nel tempo proprio perchè ha messo da parte l’estetica delle portate e non rinuncerebbe mai e poi mai a presentare sulle tavole, quei cibi ricchi e preziosi di sapori di un tempo.

A Roma è facilissimo trovare trattorie e ristorantini tipici che ancora osservano in tutto e per tutto la tradizione con quei robusti piatti che la cultura gastronomica laziale non ha certamente riposto nei cassetti della memoria.

Spaghetti, bucatini e fettuccine alla carbonara o all’amatriciana sono dei primi gustosi e saporiti che rispecchiano fedelmente quelli che sono i canoni della cucina di un tempo.

Un secondo che solo i gestori di osterie e trattorie tipiche romane possono preparare, sono i carciofi alla giudia ma non perchè altri cultori dell’arte culinaria non siano in grado di realizzarli ma semplicemente perchè questi carciofi vengono preparati in maniera eccellente solo da chi ha appreso e conservato gelosamente quelle regole antiche gastronomiche.

Per prima cosa i carciofi che vengono adoperati non sono quelli che solitamente troviamo in commercio ma sono carciofi romaneschi poco conosciuti in altre zone d’ italia perchè si presentano senza spine e vengono cucinati in un modo particolare che prevede prima una leggera frittura e poi una farcitura con sale e pepe ed una seconda frittura che li rende croccanti all’esterno e col cuore decisamete tenero. Una vera specialità!


E’ nel cuore della capitale, precisamente a Trastevere, che ancora si trovano le vere trattorie caserecce che possono vantare di presentare i loro piatti in modo meticolosamente uguale a quello degli antichi romani appartenenti alla plebe.

La pajata in umido, la coda alla vaccinara e piatti particolari come l’abbacchio brodettato, sono tipici di una tradizione che mai si è spenta nel cuore dei romani.

Oppure nel quartiere di Testaccio dove esistono ancora osterie tipiche che sopravvivono tramandando le loro bontà da nei secoli, dalla fine dell’ 800.

Qui ci sono ancora localini legati ancora alla tradizione ebraica che preparano squisite pietanze come si faceva all’epoca.
coda alla vaccinara

Tra i piatti tipici romani vengono spesso nominati la trippa, l’amatriciana e l’abbacchio ma una delizia per il palato che almeno una volta nella vita si dovrebbe assaggiare è la rinomata coda alla vaccinara.

Questa si prepara rispettando tutti i canoni della tradizione romanesca ed è la coda del bue che normalmente viene scartata dalla vendita.

La coda si taglia a pezzi (rocchi, detto in romanesco), si mette a soffriggere con del lardo, olio, pepe, sale, chiodi di garofano ed aglio.

Si rosola per bene e poi si aggiungono due bei bicchieri di vino bianco e si lascia cuocere fino a far sfumare il vino.

Infine si continua a cuocere la coda fino a che non diventi morbida aggiungendo ogni tanto dell’acqua calda al tegame di cottura.

Come ultimo passaggio, si fa soffriggere in un tegame del sedano con pinoli ed uva passa e la salsetta di cottura della coda e si ripassa quest’ultima in padella.

Si serve calda con delle fettine di pane casereccio e si mangia rigorosamente con le mani, in compagnia di amici e accompagnata da un’ottimo bicchiere di vino rosso.