Il patrimonio culturale della Sardegna è estremamente vivo ed affascina con le sue peculiarità tipiche di un mondo che solo apparentemente sembra isolato e chiuso in sé stesso, ma che in realtà si presenta, nella sua unicità, semplicemente consapevole della forza delle proprie radici.
In particolare, la musica sarda rappresenta uno degli elementi della tradizione dell’isola più fortemente rappresentativi e che maggiormente colpisce, ed affascina, chi vuole entrare in contatto con la cultura di questa terra meravigliosa.
D’altro canto, gli stessi artisti cultori, ed esecutori, della musica sarda sanno di custodire un tesoro. Non di rado le rappresentazioni musicali, spesso rigorosamente in costume, vengono offerte ai turisti come un segno distintivo del carattere isolano.
Qualcosa di più, dunque, del comune folklore: piuttosto un’impronta culturale segnata da sonorità, e da coreografie, che ha lo scopo di raccontare la storia di una terra e di un popolo.
Oggi, nel quadro generale di un rinnovato interesse nei confronti della musica etnica, il mondo musicale sardo viene non solo studiato, ma anche ripreso e, talvolta, reinterpretato in chiave moderna.
Questo avviene attraverso un processo di contaminazione, fra antico e moderno, che riguarda le sonorità, gli stili e, naturalmente, gli stessi strumenti musicali.
Gli strumenti tradizionali usati per riprodurre la musica sarda, essenzialmente molto ritmica ed evocativa, sono diversi e tutti tipici dell’isola: l’organittu, il tamburu, la benas, le launeddas, e tanti altri.
Risulta, in verità, veramente arduo tentare una classificazione di questi strumenti, in quanto essi non sono soltanto tradizionali della Sardegna, ma risultano esserlo anche solo di singole zone geografiche (se non addirittura paesi) dell’isola.
Pur essendo spesso chiaro che alcuni strumenti tipici di una singola zona siano piuttosto simili a quelli di altre, esiste sempre fra essi una peculiarità distintiva accompagnata, tra l’altro, all’orgoglio di un singolo paese nel rivendicarne la paternità.
Tanto per fare un’esempio lo scacciapensieri viene, a seconda del luogo, chiamato trumba, oppure trunfa, chitarredda a bucca, e così via.
Molti di questi strumenti sono idiofoni, cioè il suono è prodotto dalla vibrazione stessa del corpo dello strumento, senza che occorrano, come nel caso degli strumenti membranofoni (anch’essi presenti in gran numero fra quelli sardi tradizionali), oggetti estranei a percuoterlo e senza che vi siano membrane o corde tese a generarne il suono.
Altri strumenti, invece, sono aerofoni, cioè a fiato, oppure a corda.
Fra gli strumenti idiofoni va ricordato il già citato scacciapensieri, o “sa trunfa”, in pratica una specie di ciambella di ferro alla quale risulta fissata una sottile lamella che serve a riprodurre il suono e che usa come casse di risonanza lo stesso corpo umano (bocca, laringe, pancia, fosse nasali). Un’altro strumento idiofono è il triangolo (“su triangulu”).
Fra gli strumenti membranofoni vanno invece segnalate le varie tipologie di tamburo, come ad esempio “si tumbarineddu”, cioè un piccolo tamburo, formato da una parte di canna chiusa. Fra quelli a corda ricordiamo invece “sa serraggia”, in cui su una lunga canna viene tesa una corda ancorata a 2 piroli.
Ma forse è fra gli strumenti aerofoni che è possibile trovare quelli più tipici della Sardegna. A partire dalle benas, che sono delle canne a bocchino, e dalle launeddas.
In particolare, le launeddas sono fra gli strumenti tradizionali più noti della Sardegna, in Agosto a Sarrabus si tiene un festival interamente dedicato a questo strumento.
Costituite essenzialmente da 3 canne, diverse per spessore e misura, esse presentano in cima la “cabitzina”, dove si trova l’ancia. Quest’ultima è una linguetta mobile che serve per riprodurre il suono.
Ogni singola canna ha una funzione diversa: quella più lunga, detta “basciu”, serve per suonare una sola nota, che è quella che dà il tono a tutto lo strumento; una delle altre 2 canne, la “mancosa”, è legata con uno spago al basciu e serve per accompagnare la melodia, mentre la canna rimanente, la “mancosedda” riproduce le note vere e proprie.
Mancosa e mancosedda presentano dei fori per la cosiddetta “diteggiatura” delle note musicali.
L’uso di questo antichissimo strumento musicale è legato a delle rappresentazioni coreografiche che vedono la sua massima espressione nel “Ballu Tundu“, in cui uno o più suonatori si pongono al centro di un cerchio, mentre intorno i danzatori si muovono lungo il cerchio stesso, avanti e indietro al ritmo della musica, in maniera quasi ossessiva, quasi si trattasse di un rito anziché di un ballo.
Difatti non è escluso l’uso antico di questa danza travolgente per rituali magici, evocatori o, persino, orgiastici.
Oggi invece le launeddas accompagnano queste rappresentazioni per le più varie occasioni di festeggiamenti come quelli per le festività religiose, per le sagre di paese, per i matrimoni, e così via, oltre a rappresentare un’attrativa in sé per il turista.